LA STORIA DEI CAVALIERI DI
SAN VALENTINO
In
occasione del Convegno di Prevenire è Possibile del
Il tema dell’innamoramento, che sta dentro il miracolo dell’amor
sublime tra Sabino e Serapia uniti in matrimonio da Valentino,
poteva davvero essere il nucleo intorno al quale costruire una nuova
visione della relazione. In più l’espressione Cavaliere evocava
l’uscita dalla notte dello spirito, dalla fame e dalla povertà, la
difesa della Cristianità e il superamento della crisi di civiltà che
fu il compito nel medioevo degli Ordini Cavallereschi. Monaci e
Cavalieri in armi, lungo tutto l’arco dei dieci secoli hanno fermato
la barbarie calata sull’Europa, hanno diffuso la cultura della
cristianità e il messaggio della Resurrezione. Il messaggio fu affascinante per molti ragazzi
che si scoprivano Cavalieri ed entravano in un contatto diverso con
quel “sé” ideale non ancora preso in considerazione.
Con
questo spirito presero vita molte iniziative dei Cavalieri di San
Valentino in varie parti d’Italia e sul web
(cavalierisanvalentino@mbox.it fu uno dei primi 10mila account
italiani) utilizzando gli spazi e le risorse che la legge 285/97
offriva ed incrociandosi con i Progetti Giovani voluti dall’amico
Luciano Corradini, allora sottosegretario alla Pubblica Istruzione,
favorì tutte quelle iniziative nella scuola (dalla circolare
sull’accoglienza fino alla lotta alla dispersione scolastica) che
sviluppavano il protagonismo dei giovani. In quegli anni Prevenire è
Possibile si diffondeva in tutte le regioni e il giocoso richiamo ai
cavalieri era un ottimo lievito.
Il
rituale di investitura era molto semplice: un cavaliere poteva
proporre qualsiasi altra persona come nuovo cavaliere, se voleva ne
esponeva i motivi altrimenti era il candidato dover dire per quali
motivi si sentiva cavaliere. In molte occasioni alle parole veniva
sostituito un biglietto che, conservato dentro un grande scatolone
di cartone, era l’”arca” che conteneva tutti questi piccoli messaggi
raccolti da ragazzi ed adulti.
Deposto il biglietto il neo nominato cavaliere riceveva un abbraccio da parte del suo padrino e gli veniva appuntata sul petto la spilla distintivo, in assenza di quella qualunque oggetto che la potesse sostituire (un foglio adesivo, un distintivo fatto il legno, in plastica, in cartoncino, ecc.). Il rituale meno “rituale” possibile! In ogni caso intenso, con l’imbarazzo e la consapevolezza della stranezza che si stava vivendo e con la gioia di sentirsi davvero cavalieri.
Il
nucleo dell’emozione sta nell’ideale cavalleresco che si manifesta
come simbolo di coraggio, di sincerità e di lealtà. Quanto ci sia di
proiezione immaginativa e quanto di realtà è difficile saperlo.
Chissà cosa vivevano davvero i singoli cavalieri e le formazioni
cavalleresche nel rapporto con se stessi e nella loro idealità che è
sicuramente giunta a noi come romantica e romanzata. L’ermeneutica,
ovvero l’attività filosofica di interpretare un testo ma anche un
vissuto, è affascinante perché spinge ad immaginare realtà storiche
lontane dalla nostra che sono esistite con le stesse emozioni che
l’essere umano sperimenta nelle sue infinite sfumature ma con
contesti e situazioni che svelano altri sapori dell’esistere ed
altre verità sulla misteriosa condizione dell’esistere dell’essere
umano. Vivere la vita è sempre stato, in ogni epoca, una questione
tremendamente seria.
In ogni
caso occorreva capire di più sul senso di essere cavaliere,
specialmente se volevo proporre a me stesso ed ad altri una forma
mentale e relazionale di questo tipo.
Per
sapere chi erano i cavalieri bisognava chiederlo a dei cavalieri.
Nacque così la riunione di Acquasparta del 25 gennaio 1996 quando,
insieme a Emilia Scotto, Tiziana Vagnetti e Cecila Gatto Trocchi,
presentammo, nella Basilica della Pace, i neonati Cavalieri di San
Valentino agli antichi ordini cavallereschi invitati per
l’occasione: i cavalieri della Pace, i cavalieri del Santo Sepolcro,
i cavalieri di Malta, i cavalieri Templari.
La
questione aveva anche alcuni risvolti giuridico legali che volevo
chiarire: era legittimo fondare un ordine cavalleresco? Il
conferimento di onorificenze illegittime è un reato previsto
dall'art. 8, comma primo, della legge 178 del 1951.
Tale norma punisce, con la reclusione da sei mesi a due anni
e con la multa da €
Dunque,
sul piano formale, eravamo in assoluta illegalità. Cosa che non mi
spiacque del tutto ma che richiedeva un approfondimento. Fu chiaro
in breve tempo. La norma serviva proprio a trasformare in burocrazia
lo spirito cavalleresco e questa comprensione condivisa con i
cavalieri degli altri ordini sollevò un importante sipario: “Il
fatto stesso di essere e definirsi cavalieri è un atto di coraggio,
anche sul piano formale!” mi venne risposto. “In ogni caso fregatene
nessuno a mai capito il significato di questa legge, nemmeno quelli
che l’hanno scritta!”. In ogni caso non è punita l’accettazione di
onorificenze, siano esse legittime che illegittime, tantomeno il far
mostra per vanteria di insegne e distintivi.
Il
viaggio nel passato avvenne però nella accesissima discussione tra
Cavalieri del Santo Sepolcro e Cavalieri Templari, in lite da sette
secoli.
Ciò che
mi colpì di quella discussione non furono le interpretazioni
storiche o politiche ma le accuse reciproche di mancanza di spirito
cavalleresco tra i litiganti. Il viaggio incredibile nel passato
terminò con un mio banale richiamo sull’umile significato educativo
e propositivo che stava alle spalle dell’idea di innamoramento dei
Cavalieri di San Valentino, una gioiosa accettazione del nostro
stile che spense i conflitti e si concluse con una cerimonia
officiata nella meditazione e nel silenzio.
Il fatto
storico alle spalle della lite era l’arresto e la successiva tortura
di tutti i Templari da parte di Filippo il bello, re di Francia, che
venerdì 13 (da allora nasce la superstizione del venerdì 13) ottobre
del 1307 fece arrestare tutti i templari presenti sul territorio
francese e sequestrarne i beni. Ci fu l’arresto simultaneo di 546
cavalieri, riuscirono a fuggire in Svizzera solo una dozzina di
templari. L’ordine era decimato sia nell’organizzazione con la
cattura di Jacques de Molay che con il sequestro delle ingenti
ricchezze che Filippo utilizzò per risanare il bilancio del suo
regno. Con quell’evento cambierà tutto lo stile e il significato
dell’epopea cavalleresca giacché i cavalieri verranno oggettivamente
sospinti in direzioni massonico esoteriche.
Questa
interpretazione era chiara e sufficiente per comprendere come i
cavalieri di san Valentino non avrebbero mai dovuto avere nessuna
forma organizzativa poiché l’appartenenza è sempre stata
assolutamente individuale, legata al fatto di “sentirsi cavalieri”
ed accettare con se stessi di esserlo e nemmeno nessuna forma
patrimoniale e nemmeno nessun riconoscimento istituzionale.
In tutti
questi anni sono stati nominati centinaia di cavalieri che
ricorderanno l’investitura come una forma simpatica e piacevole di
gioco e che forse avranno meditato sui sette passi della Regola che
scrissi in una notte di meditazione e di solitudine nel gennaio 1996
sulla spiaggia della Giannella. La trascrissi il giorno dopo e la
mandai per fax all’amico Salvatore Cortorillo a Monreale che me la
porto, stampata in 500 copie, il 14 febbraio a Terni.
Anche la
costituzione in associazione fu un processo problematico. Il notaio
dichiarava impossibile costituire in modo assembleare una
associazione con 330 soci fondatori, tanti erano i presenti il
pomeriggio del 12 febbraio presso l’Aula Magna dell’Istituto
Federico Cesi, proprio per la natura delle carte da bollo in cui si
dovevano raccogliere le firme. Ovviammo all’inconveniente attraverso
una stampante a modulo continuo dove tutti i partecipanti apposero
la loro firma dopo aver discusso, punto per punto, lo statuto
dell’associazione. Poi, però, io, Maria Paolucci e Sandro Froscianti
fummo costretti ad andare, in qualità di rappresentanti, presso lo
studio del notaio Clericò in rappresentanza a firmare per ratifica
l’atto costitutivo e lo statuto.
Un primo
segnale dell’ipocrisia burocratica. E non ci fu solo quello. Ricordo
poi la fatica per ottenere il riconoscimento come associazione di
volontariato da parte della Regione Umbria che, quando arrivò,
presentava una inaccettabile sorpresa: il decreto di riconoscimento
portava come numero d’ordine il 666. Non era possibile essere
riconosciuti con questo numero! Fatte molte insistenze perché
venisse cambiato il numero del decreto decidemmo di rinunciare al
riconoscimento (dicendo a noi stessi che lo avremmo ripresentato in
seguito, ma ben sapendo che non avevamo nessuna voglia di essere
riconosciuti da nessuno).
I cavalieri di San Valentino non hanno nessun
riconoscimento se non quello di riconoscersi tra di loro. E di
riconoscere le loro emozioni ed i loro sentimenti. Non a caso una
delle più simpatiche iniziative
di incontro fu il raduno dei cavalieri poeti di Cerignola.
Dopo la
manifestazione contro la droga in Piazza a San Giovanni Rotondo
Nunzia Augello, punto di riferimento dei Cavalieri in Puglia,
costruì molte iniziative di gemellaggio tra scuole di Terni e di
Foggia riuscendo a mettere in moto un Premio Letterario
Internazionale che organizzammo a Cerignola, grazie all’aiuto della
Preside del Liceo Classico. I bigliettini di adesione allo spirito
dei cavalieri si erano trasformati in poesi e l’idea di chiamare a
raccolta i poeti per celebrare le emozioni della vita fu
immediatamente accolta. Franco Centi si trasferì a Cerignola per tre
mesi, costruì le giurie del Premio Letterario formate dagli studenti
dei gruppi di incontro delle scuole di Cerignola, lanciò il bando
per la poesia dei Cavalieri ottenendo centinaia di adesioni e, 16 e
17 dicembre 1995, furono giornate di festa e di commozione. Un
particolare suggestivo ci venne in aiuto. A
Cerignola non c’erano spazi chiusi in grado di contenere centinaia
di persone e fu l’incontro fortuito ad una stazione di servizio con
i fratelli Bellucci che ci fece affittare il tendone del Circo
Embell Riva. Quei due giorni sotto il tendone ad ascoltare poesie,
musiche, testimonianze, mangiando panini e brioche, scatenandosi nel
ballo per poi riprendere ordinatamente l’ascolto e le valutazioni
delle giurie sono stati indimenticabili.
Questo lo spirito degli incontri sia che avvenissero nel tendone di
un circo o sul greto del fiume Arno ad ascoltare la voce del fiume
come a San Giovanni Valdarno, o nel parco di Arezzo a riconoscere se
stessi nella forma di una particolare foglia, o sull’isola Polvese a
fare cerchio in mezzo ai prati, o a Cava De’Tirreni a riconoscere
se stessi guardando le stelle da un vecchio monastero, o nel
seminterrato dell’istituto Sirani di Bologna per sentirsi uniti e
raccolti, o a Fratta Minore, Aversa, Benevento, Agrigento, Ragusa,
Bolzano, Perugia, Noto,
Pachino, Verona, Melegnano, Sarzana, San Remo, Tolentino, Gualdo
tadino, Rieti, Sora, isernia, Altamura, Roma, Ostia, Montalbano,
Policoro, Frosinone, Viterbo, Orvieto, Chianciano…Ogni anno il momento
più forte e significativo era la meditazione notturna alla Cascata
delle Marmore, aperta dal Sindaco di Terni per i Cavalieri. La prima
di quelle meditazioni, alle 11 di sera con la cascata illuminata
dalle fotoelettriche di un camion dei pompieri di Terni (non c’era
ancora il parco illuminato che oggi circonda ed abbellisce la
cascata), fu davvero un momento magico! Per un effetto della
psicologia del processi visivi quando si guarda una massa in
movimento continuo (il fluire dell’acqua, le onde, ecc.) si è
dapprima portati a seguirne il movimento per poi mettere a fuoco un
punto all’infinito ed entrare in una dimensione di attenzione non
focalizzata che libera la sensazione di pace interiore e di fusione
con il contesto.
Quella meditazione fu un momento molto forte
che ebbe un importante riscontro nell’assembla del mattino
successivo quando un ragazzo uscito dalla comunità di San
Patrignano, ex tossico, prese
la parla e, ringraziando per il bel momento vissuto alle cascate
disse: “Ieri notte ho provato in modo naturale quella sensazione che
ho sempre cercato nell’eroina!”. Più chiara conferma non poteva esserci! Scrivemmo un nota di
istruzione, che venne incisa su una vetrata in cui è rappresentato
il cavaliere stilizzato: “Fissa con intensità un punto preciso nelle
spumeggianti acque, lascia che la vertigine si trasformi in
incantamento e ti meraviglierai nello scoprire che c’è un Cavaliere
di San Valentino anche in te!”.
La vetrata avrebbe dovuto essere collocata
nella parete rocciosa di fronte al grande salto dell’acqua ma le
autorizzazioni burocratiche da parte dei diversi enti non vennero
rilasciate entro un ANNO DI TEMPO
e, nel San Valentino del successivo 1998, la vetrata non fu
collocata. E’ ancora a casa mia perché non ho mai più controllato lo
stato delle autorizzazioni. Nel frattempo le giocose investiture
hanno toccato tante città, tante persone e, soprattutto, tanti
giovani.